Passaporto italiano: è adesso o mai più
- Rodolphe Rous
- 30 set
- Tempo di lettura: 14 min

Volete un passaporto ?
Quello che desiderate non è astratto. Non chiedete una dissertazione sullo ius sanguinis, né un catalogo di sigle e moduli. Volete un oggetto semplice e pieno di significato: un passaporto italiano. Volete appoggiarlo sul tavolo, sfogliarlo come si sfoglia un album di famiglia, e dire senza esitazione: «sono italiano, come lo erano i miei nonni». Per decenni, il riconoscimento della cittadinanza italiana per discendenza ha permesso a innumerevoli figli e nipoti di italiani stabilitisi in Francia di riallacciare l’identità delle origini. Nel 2025 però il quadro giuridico è cambiato: si è ristretto; poi circolari amministrative hanno inasprito ulteriormente le condizioni, soprattutto intorno a un nodo delicato, il cosiddetto minor issue.
Nel frattempo sono stati promossi ricorsi: potrebbero riaprire provvisoriamente alcune porte.
E poiché l’ordinamento italiano consente al Governo di intervenire con decreto-legge in caso di necessità e urgenza, è ragionevole prevedere che, se la giurisprudenza allargherà i diritti, l’esecutivo reagirà rapidamente per “ricalibrare” l’accesso per le nuove domande. Ecco la dinamica diacronica da comprendere: un prima più aperto, una stretta nel 2025, una riapertura possibile per via giudiziaria e, con grande probabilità, una nuova chiusura rapida mediante uno o più decreti-legge. In questo movimento a fisarmonica, una sola cosa dipende davvero da voi: la data di deposito della vostra domanda. È quella che fissa la vostra posizione nel diritto vivente; è quella che deciderà, domani, se avanzate verso la trascrizione, l’AIRE e infine il passaporto — oppure se restate sulla soglia.
I. Cosa significava «essere italiani per sangue» prima del 2025
Per molti anni la legge italiana sulla cittadinanza ha poggiato su un principio chiaro: la cittadinanza si trasmette per discendenza (ius sanguinis). Non era una graziosa concessione, ma un riconoscimento giuridico: se i vostri atti di stato civile dimostravano senza interruzioni che discendete da un cittadino italiano, la cittadinanza vi “accompagnava” sin dalla nascita, anche se l’atto francese non lo riportava. L’esercizio era spesso tecnico: raccogliere atti di nascita, matrimonio e talvolta morte su più generazioni; armonizzare grafie mutevoli (Giovanni/Jean, Maria/Marie); ritrovare comuni italiane scomparse o accorpate; far legalizzare o apostillare documenti; tradurli con traduzione giurata. Ma il cuore del sistema non scoraggiava il pronipote: lo invitava a provare. Il giudice, l’ufficiale di stato civile italiano, il consolato vedevano nella filiazione una traiettoria continua che l’emigrazione non aveva spezzato. Questa lettura ampia dello ius sanguinis corrispondeva a una storia nazionale, a una grande diaspora, a un’Italia consapevole che i suoi figli erano partiti senza smettere di essere tali.
Gli ostacoli erano reali, ma più pratici che concettuali. Spesso erano le lacune documentali a creare ritardi: un atto introvabile in un municipio francese, un registro parrocchiale parzialmente bruciato, una data ricopiata male nel dopoguerra, una menzione marginale illeggibile. Si suppliva con ricerche aggiuntive, attestazioni di inesistenza, riscontri indiretti (censimenti, libretti militari, liste d’imbarco). In breve, il vecchio quadro non “chiudeva porte”, controllava che aveste la chiave. Per famiglie insediate in Francia da due, tre o quattro generazioni, quel sistema rispondeva a un’evidenza intima: si può nascere a Lione, Marsiglia o Lille e restare figlio, nipote, pronipote di italiani.
II. La svolta del 2025: una restrizione voluta, una linea applicativa più severa
Il 2025 ha segnato uno spartiacque. Un decreto-legge del 28 marzo 2025, poi convertito con modifiche dalla legge del 23 maggio 2025, ha riscritto segmenti importanti della legge n. 91 del 5 febbraio 1992 sulla cittadinanza. Oltre ai dettagli tecnici, conta lo spirito: limitare effetti ritenuti eccessivamente espansivi, inquadrare meglio il gioco delle prove e fornire alle autorità amministrative criteri più rigidi per accogliere o respingere. Nelle settimane successive all’entrata in vigore, il Ministero dell’Interno ha diffuso istruzioni per uniformare le prassi. È lì, nel cuore della macchina, che si è ancorata una lettura più stretta dello ius sanguinis.
Questa stretta non ha abolito la filiazione; ha però spostato il baricentro della prova e la qualificazione delle situazioni in una zona più esigente. L’effetto sui discendenti residenti in Francia si è visto subito: dove prima si esaminava una catena di atti con benevolenza e pazienza, si è iniziato a cercare la rottura, l’interstizio in cui la catena potesse incrinarsi per un evento occorso nella generazione precedente. È cambiato il tono, e con esso l’ascolto dei fascicoli. Ciò che ieri era un’irregolarità sanabile è diventato, in molti casi, motivo di rigetto.
III. La circolare e il minor issue: quando l’interpretazione chiude i fascicoli
In questo irrigidimento, un punto ha concentrato le tensioni: il minor issue. Non è uno slogan, ma un nodo giuridico. Quando il genitore italiano si naturalizza all’estero, quali sono gli effetti — ai fini della cittadinanza italiana — per il figlio minorenne convivente? Cosa dice esattamente la legge sulla continuità della filiazione italiana in tale ipotesi? Alcune circolari hanno proposto — e di fatto imposto — una lettura particolarmente restrittiva: naturalizzazione del genitore, figlio minore, quindi perdita o mancata acquisizione, quindi catena interrotta. Questo taglio ha agito come una ghigliottina: d’un colpo, molti discendenti la cui catena passava da un ascendente minorenne al momento della naturalizzazione del genitore si sono visti respingere, benché tutto il resto fosse in regola. E al capolinea di questa lettura amministrativa non c’è trascrizione, non c’è AIRE; dunque niente passaporto.
In realtà, il minor issue è stato spesso applicato come dogma, quando era — ed è — un’interpretazione discutibile del diritto vigente. Non è l’articolo chiaro di una legge che impone un automatismo sfavorevole: è un fascio di indizi piegato a concludere per l’interruzione. Ecco perché sono nati i ricorsi: se la legge non ordina espressamente tale rottura, spetta ai giudici dire il diritto, definire il senso della filiazione, valutare la portata delle naturalizzazioni passate e la tutela dovuta ai minori di allora.
IV. Il contenzioso: riaprire ciò che l’amministrazione ha chiuso, ricordare la Costituzione
Si delineano due fronti giudiziari, complementari. Da un lato, la Corte di Cassazione è stata investita del minor issue e ha rimesso la questione alle Sezioni Unite, la formazione chiamata a enunciare il principio quando la giurisprudenza diverge o il tema è di massima. Il messaggio è limpido: non perché una circolare affermi un principio questo è conforme a legge. Ciò che l’amministrazione chiude può essere riaperto dal giudice — non per grazia, ma per ripristino della corretta interpretazione.
Dall’altro lato, la Corte costituzionale nell’estate 2025 ha dichiarato inammissibili alcune questioni che miravano al vecchio ius sanguinis in sé: non ha affermato che quel regime fosse intrinsecamente incostituzionale. Parallelamente, rinvii che colpiscono le nuove disposizioni del 2025 hanno proseguito il loro iter; un’udienza è indicata per l’inizio del 2026. I motivi sono classici: sicurezza giuridica, proporzionalità, irretroattività, eguaglianza. Se accolti in parte, possono rimettere in discussione segmenti della riforma del 2025 — soprattutto nel come si applica alle domande già introdotte o alle situazioni in corso — restituendo ossigeno a molti discendenti.
Questo punto è cruciale per voi: quando parlano Cassazione e Consulta, il diritto si aggiusta subito nelle aule e, poco dopo, negli uffici consolari e comunali. I dinieghi fondati su letture troppo strette non resistono a una regola giurisprudenziale di principio. Le istruzioni cambiano; fascicoli prima “impossibili” diventano “ammissibili”. Si accende una luce in fondo al corridoio.
V. Perché la riapertura non durerà: il decreto-legge come reazione immediata
L’Italia dispone di uno strumento potente: il decreto-legge, adottato dal Governo per necessità e urgenza, efficace subito alla pubblicazione e poi da convertire in 60 giorni. Non è una curiosità: è l’attrezzo usato proprio nel 2025. Non c’è nulla di speculativo nel dire che, se la Cassazione adotterà una lettura protettiva sul minor issue e se la Consulta censurerà in parte la riforma 2025, l’esecutivo potrà intervenire senza indugio per adattare la legge a tali letture, ma al contempo incanalare rigorosamente, per il futuro, le nuove domande. La parola chiave è futuro: un decreto-legge (e la successiva legge di conversione) possono stringere le condizioni per le domande nuove, fissare termini, ridefinire standard probatori, imporre tempi di dichiarazione, costruire regimi transitori stretti. Non possono, in linea di principio, cancellare retroattivamente i diritti già consolidati né travolgere l’affidamento legittimo di chi ha agito in buona fede nel diritto del giorno. Tra questi due poli — futuro più stretto e passato protetto — si colloca la vostra strategia: spostare il fascicolo dalla parte del già iniziato, cioè depositare adesso per essere, domani, tra le situazioni rispettate.
VI. La data di deposito: una linea di vita giuridica
In mezzo ai movimenti, la data di deposito è un’ancora. Determina il quadro applicabile, fonda l’affidamento, vi colloca in una cronologia opponibile a uffici e giudici. Nella vita di un fascicolo, non tutto vale allo stesso modo: c’è il tempo dell’informazione, quello delle ricerche, quello dell’ordine; e c’è il momento in cui si consegna la domanda, si riceve una ricevuta, si imprime una data nella storia amministrativa della vostra famiglia. È quel momento che dovete creare senza attendere. Perché non sarà un decreto a “regolarizzare gli attendisti”: sarà, al contrario, un testo che riserverà le nuove aperture alle domande già in corso e limiterà l’accesso ai nuovi entranti.
Se avete già vissuto una riforma, conoscete la musica: il giorno in cui si annuncia un allargamento giurisprudenziale, gli sportelli si riempiono; nei giorni successivi arrivano testi per precisare, incanalare, normalizzare. In questo flusso, la data sulla vostra ricevuta diventa il miglior argomento: dice che avete agito a tempo; che non “sfruttate una breccia”, ma occupate il vostro posto in una fila che non si può togliervi; soprattutto, che avete diritti da far valere e che il diritto di domani non può calpestarli.
VII. «Aspetto di avere tutto perfetto»: il perfezionismo è il nemico del passaporto
La prima obiezione, umanissima, suona così: «preferisco depositare quando il fascicolo sarà perfetto». In un mondo stabile, il perfezionismo è una virtù; in un mondo che si restringe, è una strategia perdente. Nessuno vi chiede di presentare un fascicolo vuoto: l’obiettivo è raggiungere una completezza sufficiente per varcare la soglia, documentando seriamente ciò che manca con attestazioni di ricerca, richieste in corso, giustificazioni dei tempi. La prassi conosce queste situazioni: non pretende magia, pretende diligenza. Dove credete che il deposito esiga l’ideale, il diritto domanda soprattutto la prova che avete iniziato a fare, in buona fede, tutto quanto è in vostro potere.
Il paradosso è crudele: aspettando il “fascicolo ideale”, molti si ritroveranno domani davanti a un decreto che fisserà una data spartiacque o imporrà condizioni nuove che il loro fascicolo — pur perfetto — non potrà più soddisfare. La scelta non è tra l’imperfetto e l’ideale, è tra l’imperfetto di oggi che blinda i vostri diritti e l’impossibile di domani che non li riconoscerà più. Chi deposita ora accetta la modestia del reale — manca un pezzo, va dimostrata meglio una concordanza — ma si assicura la possibilità di concludere. Chi attende promette tutto al domani e si sveglia su un binario vuoto, con il treno già partito.
VIII. «Il consolato è saturo»: esistono vie per datare il fascicolo
Seconda obiezione: «non c’è appuntamento, è tutto saturo». La saturazione è reale, ma non fatale. La procedura italiana non è un corridoio unico. Esistono depositi elettronici tramite caselle certificate, invii raccomandati, consegne presso comuni italiani per alcune fasi e, nei casi opportuni, azioni giudiziarie che permettono un iscrizione a ruolo e dunque una data certa e opponibile. La strategia non è ostinarsi davanti a una porta chiusa, ma imboccare quella che si apre più in fretta per lasciare traccia. Ogni canale ha tecnica, formalità, prova: ciò che conta è far nascere il fascicolo nel sistema con un numero, una data, una ricevuta.
La nostra epoca confonde spesso “lo sportello usato” con la “realtà giuridica”. Il consolato è uno strumento; il comune un altro; il giudice, nell’architettura italiana, non è il nemico del cittadino: è la via che regola i dissensi sull’applicazione della legge. L’intelligenza di un fascicolo non si misura dai mesi spesi a tentare un clic, ma dalla capacità di identificare il canale che garantisce la prova del deposito.
IX. «Se la giurisprudenza si apre, aspetto per cavalcare l’onda»: l’onda si spezza sul decreto
Terza obiezione: «le Sezioni Unite potrebbero darci ragione sul minor issue; aspettiamo la buona notizia». È esattamente il ragionamento che conduce dalla parte sbagliata della storia. Quando una decisione allarga i diritti, amministrazione e legislatore d’urgenza tendono a circostanziarne gli effetti per il futuro, in nome dell’ordine amministrativo e della gestione dei flussi. Il periodo di euforia dopo l’arresto si misura in giorni, a volte in settimane, raramente in mesi. In quel lasso di tempo le domande già introdotte si allineano alla nuova giurisprudenza; subito dopo interviene un testo di aggiustamento a ricordare che ogni apertura ha condizioni, tempi, limiti. Chi aspetta l’arresto per depositare sarà il bersaglio diretto della nuova legge; chi ha già depositato potrà chiedere l’applicazione dell’arresto al proprio caso, presentandosi non come opportunista, ma come parte in corso.
X. «E se la legge cambia dopo il mio deposito?» — è proprio per questo che si deposita
Quarta obiezione: «se il decreto-legge segue la giurisprudenza, non rischia di raggiungermi?». Il deposito non è un talismano, ma è un ottimo scudo. I principi di irretroattività e di affidamento legittimo pervadono l’ordinamento: la legge, specie se d’urgenza, non cancella i percorsi avviati in buona fede sotto il diritto vigente; li disciplina con norme transitorie proprio perché lo Stato riconosce un dovere verso chi ha seguito le regole del giorno. Nelle leggi di conversione si leggono sempre formule che preservano le procedure in corso. Non sarete nel vuoto: magari in un contesto più esigente, ma in una fila già aperta e riconosciuta, dalla quale si può avanzare.
È una differenza insieme concettuale e pratica: la legge può indurire il futuro, può complicare il cammino, ma non vi rimanda retroattivamente al “prima che iniziaste”. E se la giurisprudenza vi è favorevole, potete pretenderne l’applicazione: non siete un “ultimo arrivato”, siete un richiedente serio che ha agito in tempo.
XI. «Il mio caso è fragile perché manca un atto»: documentare, poi completare
Quinta obiezione: «mi manca un atto importante, temo il rigetto». L’amministrazione non ignora gli aléa dello stato civile: archivi distrutti, registri incompleti, menzioni illeggibili. Non sanziona la contingenza oggettiva, ma l’impreparazione. Se manca un atto e potete spiegarne la causa con un documento di un’autorità pubblica, se producete le richieste inviate e le risposte degli archivi, un atto sostitutivo o concordante, non siete “in difetto”: siete diligenti. Non si tratta di “inventare” la catena, ma di mostrare, con mezzi onesti, che la catena esiste e che avete mobilitato ciò che può attestarla. Poi si completa. E quel completamento arricchirà un fascicolo già introdotto, non tenterà di forzare un portone chiuso.
Una parola sulla coerenza delle identità: molti dinieghi si fondano su discordanze apparenti di nome, italianizzazioni o francesizzazioni maturate negli anni. Questi scarti sono spiegabili e giustificabili: conta costruire una narrazione probatoria chiara, che faccia capire perché Giovanni è diventato Jean, perché un accento è scomparso, perché un comune ha cambiato provincia. Questo lavoro di armonizzazione si fa prima del deposito e prosegue se un nuovo documento porta un chiarimento: non è una debolezza, è la normalità di un fascicolo transfrontaliero.
XII. Tre ritratti, tre verità
Immaginate un uomo di cinquant’anni, nipote di un piemontese arrivato a Marsiglia negli anni Cinquanta. La sua catena è quasi completa; manca l’atto di matrimonio dei bisnonni, da qualche parte tra Cuneo e Nizza, in un registro forse spostato nel dopoguerra. Da un anno aspetta “ancora un po’” che l’archivio risponda. Se deposita oggi con un fascicolo ben costruito e la prova delle ricerche, entra nel sistema con una data che domani conterà. Se attende, si esporrà a un irrigidimento che non avrà memoria della sua pazienza.
Immaginate una donna di trentacinque anni la cui catena passa da una madre minorenne quando la nonna si naturalizza francese: è un tipico caso da minor issue. Oggi la circolare la spinge fuori; domani un arresto delle Sezioni Unite può dire che quella lettura è troppo dura. Se ha depositato già adesso, potrà pretendere l’applicazione dell’arresto. Se aspetta l’arresto, urterà contro un decreto che ridefinirà condizioni e tempi per l’avvenire.
Immaginate infine una coppia che preferisce «non disturbare» finché tutto non sarà liscio.
Rischiano l’auto-esclusione. Quando si decideranno, troveranno una linea tracciata apposta per scoraggiare i nuovi entranti, con soglie, termini, requisiti aggiuntivi. Tutto questo si evita con un deposito serio, non perfetto ma leale, datato e tracciabile.
XIII. Dopo il riconoscimento: trascrizione, AIRE, passaporto
Lo scopo non è il riconoscimento per il riconoscimento. Lo scopo è il passaporto. Una volta riconosciuta la cittadinanza, i vostri atti sono trascritti nei registri italiani; siete iscritti all’AIRE, il registro dei cittadini italiani residenti all’estero. Questa iscrizione non è un dettaglio: consente il rilascio del passaporto da parte del consolato di circoscrizione. Si fissa un appuntamento, si presentano i documenti, si verifica l’identità e l’allineamento dello stato civile; poi il passaporto viene emesso. È quel documento che vi permetterà di vivere la promessa: circolare nell’Unione da italiani, trasferirvi in Italia senza ostacoli inutili, trasmettere ai figli una cittadinanza che capiranno con il gesto più semplice — aprire un passaporto e vedervi scritto il proprio nome.
La sequenza è concreta. Nulla si improvvisa, ma nulla è esoterico. Le difficoltà esistono e si risolvono. E, a ogni passo, la data di deposito iniziale agisce come un filo d’Arianna: ricorda da dove venite giuridicamente, fonda le vostre pretese quando l’amministrazione esita, mette in sicurezza la vostra traiettoria se nel frattempo interviene una modifica normativa.
XIV. Il calendario: il diritto cambia, l’identità resta
La domanda che più spesso viene posta è: «fra quanto avrò il passaporto?». Non esiste una risposta universale. Il tempo dipende dal canale scelto, dal carico degli uffici, dai documenti da integrare, da eventuali ricorsi. Una cosa però è certa: il tempo che vi separa dal passaporto inizia davvero a decorrere solo dal deposito. È da lì che si può misurare, sollecitare, integrare, contestare. Prima, si resta nell’intenzione. Non è una formula: è una realtà amministrativa ovunque. La procedura conosce solo chi deposita. In una fase di mobilità giuridica come questa è inutile puntare su una futura “finestra più favorevole”: domani il diritto potrebbe essere più chiaro, non più aperto; domani le file saranno più lunghe; domani le istruzioni più strette. Domani sarà tardi.
Questo realismo non è pessimismo. Invita a separare ciò che dipende da voi — agire, depositare, provare — da ciò che non dipende: il giorno esatto di un arresto, i dettagli di un decreto, il ritmo della conversione parlamentare. Nell’incertezza, l’unica strategia rispettosa della vostra identità e del vostro progetto è blindare ciò che si può blindare: la data.
XV. Etica e lealtà: cosa posso promettervi e cosa no
Non vi prometto magia. Non vi prometto che un fascicolo fragile diventerà luminoso perché porta un cognome italiano. Non vi prometto di influenzare un calendario né di indovinare il contenuto di un futuro decreto. Vi prometto due cose. Primo: dire come stanno le cose, non come vorremmo che fossero. Oggi l’accesso per discendenza è più ristretto, un’interpretazione amministrativa chiude molte porte, i ricorsi hanno buone chance di riaprirne alcune, e il potere regolatorio potrà richiuderle per i nuovi venuti. Secondo: se il vostro fascicolo è serio, lo faremo entrare nel tempo del diritto con un deposito datato, leale, tracciabile; da lì in poi faremo ciò che fa un avvocato: difendere, sollecitare, integrare, contestare, discutere. È l’unica promessa degna: l’impegno rigoroso nel quadro vigente.
Il resto — l’orgoglio, l’emozione, l’idea di trasmettere ai vostri figli un passaporto che racconta le domeniche di famiglia, i ricordi di dialetto, le ricette che “si fanno solo a casa” — non si scrive su un articolo. Si vive il giorno in cui vi consegnano il passaporto, il giorno in cui entrate in fila in aeroporto da cittadini italiani, il giorno in cui pronunciate il vostro nome con l’accento che aveva vostro nonno.
Conclusione — Depositare adesso per non dire domani «avrei dovuto»
La situazione attuale non è un dramma: è una decisione. Per molto tempo l’Italia ha riconosciuto i suoi figli oltre confine con una lettura generosa dello ius sanguinis. Nel 2025 lo Stato ha ristretto, l’amministrazione ha irrigidito, un concetto ha chiuso fascicoli. La giustizia, fedelmente, sta per dire se questa stretta sia andata troppo oltre e come vada intesa. Il Governo, se necessario, reagirà d’urgenza per “aggiustare”. Tutto ciò disegna una linea del tempo chiarissima. Prima dell’arresto, le porte sono strette. Dopo l’arresto, si aprono per chi è già nel corridoio. Subito dopo, un decreto rimette paletti per chi vorrebbe entrare poi.
In questo balletto, un gesto soltanto dipende da voi: depositare adesso. Non per “provare la fortuna”, ma per rivendicare con serenità un diritto di filiazione. Non per superare gli altri, ma per onorare i vostri. Non per sventolare un simbolo vuoto, ma per portare un documento che dice il vero: siete italiani. E se domani verranno scritte altre parole in Gazzetta, non cambieranno la data impressa sulla vostra ricevuta. Quella data è la vostra linea di vita giuridica. È ciò che vi permetterà, passo dopo passo, di arrivare allo sportello del passaporto, firmare e tenere finalmente fra le mani ciò che desideravate fin dall’inizio: un passaporto, punto.




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