AIRE ≠ Residenza Fiscale: sfatiamo il mito dell’esenzione per chi si trasferisce in Francia
- Rodolphe Rous
- 16 lug
- Tempo di lettura: 4 min

1. AIRE: un registro anagrafico, non un lasciapassare tributario
L’Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero è stata creata con la legge 27 ottobre 1988 n. 470, la quale chiarisce che l’AIRE serve esclusivamente a censire chi lascia l’Italia in modo stabile, tutelarne i diritti elettorali e garantire l’accesso ai servizi consolari normattiva.it.
L’iscrizione, per contro, non ha la forza di spostare la residenza fiscale: quest’ultima continua a essere disciplinata dall’art. 2, comma 2, del TUIR (D.P.R. 917/1986), che considera residente chi, anche per soli 183 giorni l’anno, mantiene domicilio civile o dimora abituale in Italia brocardi.it.
La giurisprudenza lo ribadisce senza ambiguità: le Sezioni Unite della Cassazione, con sentenza 21970/2021, hanno spiegato che l’iscrizione all’AIRE è «un mero indice, privo di efficacia decisiva» nel valutare la residenza fiscale judicium.it, e la storica circolare Agenzia Entrate 304/E/1997 ricorda che un cittadino resta tassabile in Italia se qui conserva il centro degli interessi vitali, anche quando risulta regolarmente registrato all’estero def.finanze.it.
Dal 1° gennaio 2024, però, la legge 213/2023 (art. 1, comma 242) ha introdotto una sanzione da 200 a 1 000 euro per ogni anno di mancata iscrizione (fino a un massimo di cinque), misura che ha moltiplicato le domande di iscrizione ma non ha toccato le regole fiscali ambhelsinki.esteri.it. Ne deriva il paradosso di molti connazionali che pensano di «mettersi al riparo» dalle imposte italiane semplicemente bussando al consolato: in realtà, senza un reale spostamento di famiglia, lavoro e patrimonio fuori dai confini, il Fisco nostrano potrà comunque pretendere l’imposizione mondiale dei redditi e accertare eventuali evasioni.
La Convenzione Italia‑Francia del 5 ottobre 1989 (art. 4) interviene solo in ultima istanza, con le tie‑breaker rules utili quando entrambe le legislazioni rivendicano il medesimo contribuente fiscooggi.it; ma prima di arrivare a quel punto serve una verifica sostanziale che l’iscrizione AIRE, da sola, non può fornire.
2. Francia: criteri implacabili di residenza e nuova «primauté» del diritto convenzionale
La Francia applica tre criteri alternativi, fissati dall’art. 4 B del Code général des impôts (versione in vigore dal 16 febbraio 2025): basta avere il foyer o luogo di soggiorno principale in territorio francese, o esercitarvi l’attività professionale prevalente, o stabilirvi il centro degli interessi economici, per essere considerati residenti a fini fiscali Légifrance. Un solo requisito è sufficiente; il Conseil d’État, con l’arrêt 364715/2014, ha confermato che la presenza del nucleo familiare in Francia integra da sola il concetto di «foyer», anche se il contribuente trascorre altrove la parte prevalente dell’anno Légifrance.
Ciò significa che un dirigente italiano distaccato a Parigi che mantenga la moglie e i figli in una casa francese, o un libero professionista che apra un cabinet in Lione pur passando i weekend a Milano, può essere trattato come residente fiscale francese indipendentemente dall’iscrizione AIRE.
Sopra questo assetto già severo il legislatore d’Oltralpe ha innestato, con la Loi de Finances 2025 (art. 83), la primauté du droit conventionnel: se una convenzione – come quella con l’Italia – attribuisce la residenza all’altro Stato, la Francia deve adeguarsi e rinunciare alla tassazione illimitata, a prescindere dai criteri interni dell’art. 4 B CGI. La novità riduce i conflitti, ma non cancella l’esigenza di fare i conti con i tre indici interni: chi li soddisfa e non può invocare la clausola convenzionale (perché, ad esempio, l’Italia lo qualifica comunque residente) resta soggetto in Francia all’impôt sur le revenu su base mondiale, con sanzioni che, dopo le riforme 2023‑2024, arrivano al 40 % dell’imposta dovuta, oltre a interessi BCE + 2,6 punti.
Nei casi di doppia attrazione la convenzione Italia‑Francia offre una procedura amichevole (art. 25) e, dal 2019, l’arbitrato vincolante previsto dal Multilateral Instrument OECD‑BEPS, recepito in Italia e Francia, che impone un esito entro tre anni in caso di stallo tra le amministrazioni OECD. Ma avviare queste procedure richiede tempo, competenze specialistiche e costi legali non trascurabili: affidarsi alla sola registrazione AIRE, nella speranza di evitare complicazioni, è dunque strategia ingenua.
3. Pianificare (sul serio) l’espatrio: prove, timing e coerenza tra Italia e Francia
Se l’obiettivo è vivere in Francia riducendo il rischio di doppia imposizione, la parola d’ordine è coerenza. Prima di spostarsi occorre chiudere, o almeno razionalizzare, i legami centrali con l’Italia: vendere o affittare l’immobile di famiglia, trasferire la scuola dei figli, cessare eventuali cariche operative in società italiane, ridurre i conti correnti e le linee di credito domestiche; in parallelo bisogna costruire in Francia un’abitazione permanente e documentarne l’effettivo utilizzo, aprire conti locali, stipulare contratti di lavoro o di consulenza dimostrabili e spostare, quando possibile, la gestione patrimoniale presso intermediari francesi.
Queste mosse creano la traccia probatoria che l’amministrazione italiana valuterà in caso di accertamento, mentre il Fisco francese le userà per confermare la residenza domestica; in assenza di tale coerenza l’iscrizione AIRE verrà sconfessata e i redditi saranno tassati da entrambi gli Stati, con credito d’imposta limitato alle aliquote convenzionali.
Vale, inoltre, la regola del calendario: la Francia impone di presentare la déclaration n. 2042 in maggio‑giugno sull’anno precedente, l’Italia richiede il modello RED e il quadro RW entro novembre; spostare la residenza a metà anno può complicare entrambe le dichiarazioni, ma permette di sfruttare la clausola dei 183 giorni se, e solo se, la permanenza effettiva e l’abitazione principale risultano davvero estere.
Infine, l’orizzonte va allargato agli incentivi: chi pianifica un rientro entro cinque anni può valutare l’attrattivo regime «impatriati» italiano ex art. 16 D.Lgs. 147/2015 (sconto del 50 % o 60 % sulle imposte) che, prorogato fino al 2029, può risultare più vantaggioso di un’esposizione illimitata al sistema progressivo francese; ma anche in questo caso, senza una gestione sincronizzata delle tempistiche anagrafiche e fiscali, si rischia di perdere l’agevolazione o, peggio, di subire richieste di recupero imposte su entrambe le sponde delle Alpi.
La morale è semplice: l’AIRE è un obbligo anagrafico (con multe ora salate per chi lo ignora) e un indizio utile in sede probatoria, ma non è un «tasto magico» per cambiare residenza fiscale. Solo una pianificazione integrata, che combini la normativa interna, la convenzione bilaterale, l’arbitrato MLI e una robusta raccolta di prove, consente di vivere in Francia senza trasformare il sogno d’oltralpe in un incubo tributario.
Per maggiori informazioni: https://www.rous-avocat.fr/it/contact
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